Vediamo insieme cosa può fare la Mindfulness per i pensieri intrusivi.
Come abbiamo sottolineato nell’articolo precedente “Pensieri intrusivi: e se fossimo noi a trattenerli?”, una caratteristica fondamentale dei pensieri intrusivi, quella che li rende tali, è la loro reificazione ovvero il fatto che la persona si identifica con essi, con la conseguenza, poi, di ritenere necessario controllarli, sottoporli a verifica, combatterli, cercare rassicurazioni…
Per le persone affette da DOC è cruciale il tipo di relazione che si instaura con i propri stati interni (pensieri, emozioni, percezioni sensoriali): questo rapporto può avere un ruolo determinante nell’attivazione e nel mantenimento della problematica ossessiva.
La Mindfulness è stata definita da Jon Kabat-Zinn come il prestare attenzione in modo intenzionale, nel momento presente e in modo non giudicante. E’ un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui ed ora.
Se soffri di pensieri intrusivi, un percorso terapeutico che integri la Mindfulness potrebbe aiutarti a modificare e migliorare la relazione con la tua esperienza interna per colmare quello che potrebbe essere definito un deficit di mindfulness.
I training di Mindfulness, in particolare, costituiscono una sorta di addestramento anti-ruminativo. Cerchiamo di capire perché.
Attraverso la Mindfulness è possibile cambiare prospettiva, attuare un processo di decentramento e cioè apprendere a considerare i pensieri e le emozioni esattamente per quello che sono, “fenomeni contemplati, distinti dalla mente che li contempla”. Pensieri ed emozioni possono essere, quindi, accolti come eventi interni che non hanno bisogno di alcuna modifica o strategia di gestione, evitando così inutili sforzi (compulsioni, ruminazione ecc).
È importante, in altre parole, apprendere ad avere un’esperienza dei propri stati interni vivendo direttamente i pensieri, le emozioni e le sensazioni (modalità dell’essere), invece che pensare all’esperienza (modalità del fare).
Nella modalità dell’essere la relazione con i pensieri e i sentimenti è la stessa che si può avere con i suoni o con altri aspetti dell’esperienza momento per momento: si tratta semplicemente di eventi mentali passeggeri che sorgono, diventano oggetto di consapevolezza e poi svaniscono secondo una prospettiva che possiamo definire “decentrata”.
È molto diverso relazionarsi con i pensieri come eventi transitori e non permanenti della mente piuttosto che considerarli come “te stesso” o “la realtà”!
La pratica della Mindfulness ci insegna che quando un pensiero compare anche se ad esso si associano emozioni negative, abbiamo la possibilità di fermarci, prendere le distanze da esso, vederlo con chiarezza. Solo allora riusciremo a dare la giusta priorità alle cose, a prendere decisioni ponderate su ciò che è realmente necessario fare e sapremo quando è utile smettere.
Per certi versi la strada che ci viene offerta dalla Mindfulness appare in contraddizione con il nostro usuale atteggiamento verso la sofferenza: imparare a rivolgere una piena attenzione, a fare spazio, anche a ciò che non ci piace, che non vorremmo o che ci provoca disagio e dolore, vincendo la tendenza automatica a fare proprio l’opposto.
In questo modo ci viene offerta la possibilità di lasciar essere e, quindi, di essere meno condizionati, meno oppressi: la Mindfulness è la nobile manifestazione della raggiunta libertà della mente (Nyanaponika Thera).
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