Etichette: sì o no? è l’ennesima riflessione sul tema che decido di scrivere.
Tempo fa scrissi un post che diceva “tu non sei le tue etichette”, perché ho sempre avuto un rapporto un po’ difficile con questa parola.
Etichette e profezie che si auto-avverano
Forse questo “conflitto” si è intensificato quando è nata mia figlia, perché ho iniziato ad interrogarmi su quanto avrei potuto condizionarla mettendole delle etichette che spesso poi diventano “profezie che si auto-avverano”
A volte noi adulti lo facciamo anche per giustificarci quando temiamo il giudizio altrui, o almeno io l’ho fatto.
Mi ricordo benissimo che nel periodo in cui faceva fatica a salutare, in evidente imbarazzo ho pronunciato frasi come: “E’ timida, è per quello che non ti saluta”. E subito dopo mi sono sentita in colpa, per avere pronunciato quella frase, che lei aveva ascoltato, solo per alleggerire il mio imbarazzo.
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Ma sono un po’ diffidente anche quando le etichette le usiamo per noi adulti. Spesso etichettandoci corriamo il rischio di ingabbiarci in una visione di noi stessi che ci toglie possibilità di esplorare esperienze nuove e di conoscerci meglio. Ignorando anche il fatto che siamo in continuo cambiamento.
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Etichette ed identità
Ho avuto però modo di conoscere realtà in cui darsi un’etichetta può avere un valore profondo e necessario. E ho capito il valore di alcune di esse, come spiega la Dott.ssa Elena Toffolo, psicologa, formatrice ed educatrice socio-pedagogica, esperta in tematiche lgbt+.
La Dott.ssa Toffolo propone una distinzione tra etichette prescrittive, apposte su una persona da altri ed etichette descrittive, scelte liberamente da un individuo per se stesso.
“Le etichette, se prescrittive, rischiano di vincolare e cristallizzare le persone, possono accendere stereotipi e pregiudizi e possono anche non essere accettate dalla persona a cui si danno. Le etichette descrittive sono assunte dalla persona che quindi desidera averle, per definire se stessa e farlo comprendere agli altri, per liberarsi o rivendicare quella o quelle identità, quell’esistenza cui sente di appartenere”.
Quando una persona sceglie delle etichette per definire se stessa – sottolinea la Dott.ssa Toffolo – è importante accoglierle e rispettarle e senza giudizio.
La storia di Iris
Nel portare avanti questa mia riflessione sulle etichette, ho avuto l’occasione di confrontarmi con una persona che ha voluto raccontare la sua personale esperienza, la trovate su Instagram come Iris e basta.
Con il suo permesso, la condivido qui di seguito.
“La mia prima etichetta mi fu appioppata alla nascita. Ero disabile. Senza se e senza ma. Cosa volesse dire, lo imparai col tempo, e spesso questa dicitura mi fu scomoda, non tanto per le mie patologie in sé, quanto per quelle agevolazioni che i miei genitori mi insegnarono a pretendere, e che mi fa vergognare sempre tanto richiedere.
E poi ero obesa. Anche questa col tempo iniziò a starmi stretta. Io ero io, e non miei chili. Ma ho dovuto fare un lungo viaggio d’amore per me stessa, per capire.
Le etichette possono essere una gran fregatura, è vero. Sapete perché? Perché la gente, in base alle tue etichette, crede di sapere chi sei e quello che hai nel cuore. Lo facciamo tutti, desumiamo implicitamente qualcosa in base alle etichette che contraddistinguono una persona. Se è anziana, penseremo che “non può permettersi” alcune cose. Se è ricca invece “può permettersi tutto”.
Questo gioco unisci-i-punti cosa-ne-uscirà il cervello lo fa sempre, con gli altri. È rassicurante, ci dice che le cose vanno esattamente come ci aspettiamo. Ma spesso, questo esercizio fa in modo che sugli altri si abbatta una scure di pregiudizio difficile poi da estirpare.
Ma le etichette possono anche essere simbolo di orgoglio. Io sono pan, e come ho detto più volte, conoscere questa specifica dicitura mi ha aiutato a sapere che non ero sbagliata, che come me c’era anche altra gente. Stessa cosa per l’anarchia relazionale.
E poi ci sono volte in cui non voglio sapere a quale etichetta appartengo. Ad esempio non so ancora se sono demi o no. E sinceramente non mi interessa saperlo al momento.
Le etichette non servono agli altri, perché in quel modo diventano vincolanti per noi. Servono a noi stessi per conoscerci meglio e capirci di più.”