Coronavirus: pensieri ed emozioni entro i 200 metri da casa è il primo di due articoli in cui io e la mia collega Dott.ssa Annalisa Dotelli dell’Associazione Phlox Psiologia di Caorso (Piacenza), abbiamo scritto mettendo nero su bianco le nostre riflessioni sull’esperienza della quarantena. Seguirà un secondo articolo dedicato ai pensieri ed emozioni suscitati nelle persone dall’avvicinarsi della Fase 2.
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Era la seconda metà di febbraio
Era la seconda metà di febbraio, quando è apparsa la notizia del primo contagiato Covid a Codogno. Avevamo già da quasi due mesi le immagini della Cina negli occhi, luoghi distanti che stavano affrontando uno scenario apocalittico e forse tutti ci siamo domandati se quel mondo, prima così distante, sarebbe diventato anche il nostro.
“Ma no” – abbiamo pensato – “sono solo pochi casi e li terremo a bada”.
Mentre il panico dilagava e le scuole chiudevano, ci hanno detto che era solo una banale influenza. State distanti e lavatevi le mani, ma non fate crollare l’economia.
Messaggi contraddittori dalla tv e dalle radio, dai social e dai politici. Abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto, poi ancora il contrario del contrario.
Coronavirus: pensieri ed emozioni entro i 200 metri da casa: esperienze diverse, paure diverse
Molti di noi sono rimasti barricati in casa con il terrore di contrarre un virus possibilmente letale. Qualcuno di noi è rimasto contagiato e neppure lo sapeva: l’ha scoperto quando, man mano che la gente si ammalava, l’elenco dei sintomi è stato aggiornato.
Qualcuno invece l’ha preso e lo sapeva, ha convissuto con l’ansia delle complicazioni, di contagiare i familiari, di poter precipitare nell’inferno degli ospedali. Qualcuno è stato veramente male, per giorni e giorni e ne è uscito a fatica; qualcun altro ha avuto familiari e amici in condizioni gravi, ha vissuto l’angoscia della lontananza, dell’incertezza, della solitudine. Qualcuno è stato ricoverato, qualcun altro ha subito perdite importanti.
I cambiamenti nella nostra vita dovuti alla pandemia
Abbiamo visto i nostri luoghi di ritrovo chiudere uno a uno, il nostro raggio d’azione ridursi giorno dopo giorno. La quotidianità si è stravolta e abbiamo dovuto elaborare un nuovo modo di vivere le giornate, senza le persone con cui avevamo ogni giorno a che fare, in spazi ridotti; bombardati da video, informazioni, articoli che restringevano il focus della nostra attenzione solo e soltanto sul Covid.
Le cause del Covid, gli effetti, i tamponi, gli ospedali, le terapie intensive, i medici, i decessi, le bare, le restrizioni, i controlli, le multe, le autocertificazioni; chi chiude, chi apre, chi richiude. Le scoperte, i test, i numeri sparati ogni giorno senza alcun paragone di riferimento. Il covid al nord, al Sud, in Europa, negli Stati Uniti. Anticorpi sì, anticorpi no. Mascherine sì, mascherine no.
Abbiamo sentito le sirene delle ambulanze strillare per settimane a ogni ora del giorno e della notte, abbiamo fatto liste della spesa degne di un assedio, abbiamo scaricato app e programmi per studiare e lavorare da casa, a distanza, con persone che fino al giorno prima vedevamo in presenza quotidianamente, mentre i bambini annoiati chiedevano la nostra costante attenzione; e nel frattempo da ogni mezzo di comunicazione ci dicevano “Che vi costa? Dovete solo stare a casa sul divano a guardare la tv!”
Emozioni pandemiche
Così ci siamo anche sentiti in colpa nei confronti di chi un tempo aveva fatto la guerra, nei confronti dei migranti che attraversano i mari sui barconi, nei confronti dei medici che stavano lottando negli ospedali. Perché è chiaro che, quando paragoni il tuo disagio a quello di qualcun altro, sei sempre in perdita.
Poi abbiamo pensato che non dovevamo lamentarci e forse neppure stare male, come se non poter camminare oltre i 200 metri da casa fosse una condizione normale, che vuoi mai… vivi in un paesino di 3 km totali e sono due mesi che non vedi nulla oltre la tua via.
Chi è dovuto andare al lavoro, ha vissuto con l’angoscia del contagio per sé e per i suoi cari; chi è stato costretto a stare a casa dal lavoro si è chiesto come sarebbe sopravvissuto alla chiusura.
Coronavirus: pensieri ed emozioni entro i 200 metri da casa. E l’amata libertà?
La libertà, che per noi italiani è un bene scontato da decenni, si é ridotta progressivamente tra un comunicato di Conte e l’altro.
Abbiamo accettato ogni cosa per il bene nostro e degli altri, mentre schivavamo il vicino al balcone che ti fotografa perché potresti essere un trasgressore e cercavamo di spiegare ai bambini perché non si poteva più uscire, ma senza traumatizzarli.
Abbiamo sentito mille opinioni e mille contraddizioni, linciaggi su facebook e pagine di morti sul giornale. Abbiamo fatto del telefono la nostra migliore arma di comunicazione e ci siamo sentiti al sicuro solo chiusi tra le nostre quattro mura, armati di gel disinfettante e mascherine che fino a due mesi prima non avevamo mai usato.
Le giornate si sono allungate, la primavera è sbocciata e con lei i droni che ti seguono mentre vai a fare spesa e noi, che da un mese e mezzo con l’umore facciamo up e down come esercizio quotidiano, a volte ci ridiamo su e condividiamo meme divertenti e a volte ci incazziamo e mandiamo tutti sulla forca. A volte siamo affettuosi e sentimentali e a volte cinici come i peggiori serial killer.
Ed ecco che arriva all’orizzonte la FASE due
Tra un bel pianto e una polemica, tra il pane fatto in casa e un esercizio di aerobica online, i numeri dei ricoveri hanno cominciato a scendere. Attendiamo ogni giorno il bollettino serale: quanti decessi oggi? Quanti nuovi contagiati? E quanti, proporzionati al numero di tamponi che si fa ora rispetto a una settimana fa, a due settimane fa, a un mese fa?
La curva scende, le imprese fremono per ripartire, il sole all’esterno chiama… E all’improvviso si prospetta la FASE 2.
La ripartenza.
La sognavamo e l’aspettavamo, chiusi nella nostra bolla senza tempo da febbraio. Ma adesso possiamo iniziare a prospettarcela davvero.
Noi, dopo aver vissuto tutto questo, ognuno a suo modo e con la sua esperienza, chi siamo davanti alla fase 2?
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