Il termine “etichette” riferito al cibo ha un utilizzo piuttosto ampio. In particolare, nella Mindful Eating, riveste una notevole importanza, poiché si riferisce ad aspetti diversi della nostra relazione con il cibo. In questo breve articolo troverete alcune riflessioni in merito.
Sapevate che esistono diversi tipi di etichette?
Ci sono ovviamente quelle che troviamo sui cibi che acquistiamo al supermercato e che leggiamo prima di metterli nel carrello, ma ci sono anche quelle che applichiamo noi stessi agli alimenti, piuttosto che l’industria alimentare.
Sono etichette “virtuali”, nel senso che non sono realmente appiccicate alle confezioni del nostro cibo, ma le abbiamo ben chiare in testa quando interagiamo (o non interagiamo!) con esso.
Le prime rappresentano la carta d’identità dell’alimento: riportano informazioni sul contenuto nutrizionale del prodotto e forniscono una serie di indicazioni per comprendere come i diversi alimenti concorrono ad una dieta corretta ed equilibrata.
Poi ci sono le altre. Ognuno di noi, in modo del tutto personale e legato alla propria storia, le “appiccica” ai cibi, in aggiunta a quelle con cui sono usciti dallo stabilimento che li ha prodotti.
Sono numerose e diverse da individuo a individuo. Descrivono il cibo come ”buono, cattivo, pericoloso per la linea, spazzatura, sano, leggero, ipercalorico, permesso, vietato, assolutamente vietato, concesso” ecc.
Tutte le etichette influenzano e condizionano il nostro rapporto con il cibo
Le prime ci permettono di fare scelte informate! È importante saperle leggere; è un atto di responsabilità verso il nostro benessere e verso quello delle persone che mangiano le cose che acquistiamo. Esse ci aiutano, infatti, ad impostare una sana alimentazione.
Ma che dire della seconda tipologia?
Queste etichette mettono il cibo in diverse categorie e la relazione che abbiamo con queste categorie è tutt’altro che neutra!
Se un cibo è “cattivo, pericoloso per la linea, spazzatura, ipercalorico, vietato, assolutamente vietato ecc” probabilmente la relazione con esso sarà piuttosto turbolenta!
Paura, ansia, disagio, apprensione, ossessioni e doverizzazioni (“non devo mangiarlo, devo resistere”) medieranno il nostro rapporto con quel cibo, allontanandoci da un sana e spontanea relazione con esso!
Che fare se ci accorgiamo di essere prigionieri di queste etichette?
Ripartire da capo! De-costruire questo tipo di relazioni e ripartire con un approccio al cibo diretto e immediato. Per fare questo troviamo un valido aiuto nella Mindful Eating, che ci permette di avvicinarci al cibo assaporandolo con i 5 sensi, gustandone profumi, sapori, aromi, consistenza e colori, per apprezzarlo pienamente, morso dopo morso.
Questo approccio consente di conoscere il cibo per ciò che veramente è e non per ciò che risulta dalla relazione problematica che abbiamo instaurato con esso.
La Mindful Eating non sostiene che tutti i cibi sono uguali! Non sarebbe corretto né utile! Ci sono cibi diversi per sapore e per nutrienti in essi contenuti, ovviamente. E ci sono scelte che supportano la salute ed il benessere molto più di altre.
Ma esiste una sottile linea di demarcazione che separa la doverizzazione (“non devo mangiare la patatine fritte”), da una libera scelta (“non voglio le patatine fritte nel mio corpo”): questa sottile linea è rappresentata dall’emozione! Mentre nel primo caso potremmo provare ansia, senso di frustrazione o ancora desiderio intenso del cibo che ci proibiamo, nel secondo, saremo sereni e soddisfatti di proteggere noi stessi ed il nostro benessere.