Beauty mania: quando la bellezza diventa ossessione

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Beauty mania: quando la bellezza diventa ossessione di Renee Engeln è un libro che ho letteralmente divorato al mare! Veramente bello, sia perché ben scritto (a mio modesto parere), sia perché tratta il tema dell’immagine corporea (usando pochissimo questo termine) un po’ come piace a me, cioè mettendo insieme la prospettiva più intra-individuale a quella più sociale/sistemica e includendo tanti riferimenti alla ricerca.

Il libro, inoltre, racconta tantissime storie di donne, attraverso le interviste che l’autrice ha fatto in giro per gli Stati Uniti per raccogliere esperienze e materiale per il suo libro e la sua ricerca.

Beauty mania: di cosa parla

Il libro si divide in cinque parti ed ognuna prende in considerazione un tema specifico correlato alla “malattia della bellezza” che per Renee Engeln consiste nella preoccupazione/ossessione che moltissime donne hanno per il loro aspetto e che ruba loro un enorme quantità di energia e di fatica (e soldi) che potrebbero essere invece utilizzati per altro.

Un concetto chiave del libro è sicuramente quello dell’oggettivazione ed auto-oggettivazione della donna all’interno della nostra società.

Oggettivazione ed auto-oggettivazione femminile

L’autrice spiega che il corpo delle donne, rispetto a quello maschile, viene osservato e valutato maggiormente e percepito come un oggetto: questa è appunto l’oggettivazione del corpo femminile.

Nelle società occidentali il corpo femminile è spesso ridotto a oggetto sessuale: una parte del corpo è sufficiente ad indicare l’intera persona, che perde così la sua integrità psicofisica. Ne consegue che alla società interessa stabilire se il corpo di una donna sia accettabile e conforme, piuttosto che ciò che quella donna fa o ha da dire. Una cultura che oggettivizza il corpo femminile porta le donne a fare altrettanto, a percepirsi allo stesso modo, cioè ad interiorizzare la prospettiva di un osservatore esterno come visione primaria del proprio sé fisico. Si passa dunque dall’oggettivazione all’auto oggettivazione.

Le conseguenze dell’auto-oggettivazione

L’auto-oggettivazione fa sentire le donne davanti allo specchio pur non trovandovisi; vivendo in una cultura in cui il corpo è sotto osservazione, le donne ne diventano i controllori, mettendo in atto un continuo monitoraggio del proprio aspetto (monitoraggio corporeo o checking). Il loro “spazio mentale” è spesso occupato da una continua preoccupazione su come gli altri le percepiscono.

Monitoraggio continuo e preoccupazione “occupano la mente” creando un’interferenza con i processi cognitivi necessari a svolgere compiti complessi e compromettendo la prestazione finale.

Inoltre guardare al corpo come un oggetto porta le donne a perdere la loro consapevolezza enterocettiva, cioè la sensibilità naturale agli stimoli interni che segnalano, tra le altre cose, fame, sazietà, stanchezza ecc. L’auto-oggettivazione allontana dalla capacità di abitare il corpo (embodiment).

Media e malattia della bellezza

Una parte del libro è dedicata a spiegare come le immagini che circolano sui media alimentano l’ossessione per l’aspetto fisico, mettendo in luce il fatto che la critica alle immagini mediatiche femminili sia un ottimo punto di partenza per combattere la malattia della bellezza, ma non la soluzione. Molto interessante anche la parte in cui, sulla base di dati di ricerca, viene sottolineato che anche i disclaimer che ci informano che una certa immagine è stata ritoccata digitalmente non hanno un impatto positivo sull’immagine corporea delle donne che le guardano.

Beauty mania. Quando la bellezza diventa ossessione: cosa possiamo fare

L’autrice fa un lungo elenco delle cose da non fare per lasciarsi alle spalle la “malattia delle bellezza”:

  • non andate alla ricerca di media che propongono immagini femminili idealizzate e oggettivate;
  • se vi imbattere in immagini simili, date loro la minor attenzione possibile;
  • non paragonatevi alle immagini che vedete sui media;
  • non parlate in modo negativo del vostro corpo e di quello altrui;
  • non incoraggiate altre donne a sminuire il loro fisico;
  • non parlate dell’aspetto di altre donne;
  • non indossate abiti che vi costringono al monitoraggio corporeo distraendovi da ciò che accade intorno a voi;
  • non lasciatevi risucchiare dai social media incentrati sull’esteriorità;
  • non trasmettete ansie sul peso alle vostre figlie.

Si sofferma poi, alla fine del libro, su quello che si può fare. Un concetto fondamentale è il tipo di relazione che le donne instaurano con il corpo: è importante abbandonare la prospettiva dell’oggettivazione e ad abbracciare il cosiddetto “orientamento funzionale”.

Con questo termine ci si riferisce alla possibilità di relazionarsi al corpo come uno strumento di azione e sensazione, piuttosto che come un oggetto che gli altri possono guardare e giudicare. E’ molto più utile “sentire” il proprio corpo, anziché “vederlo”, recuperando un contatto con l’incredibile gamma di capacità di cui il corpo è dotato.

Nelle ricerche dell’autrice le donne che hanno un approccio funzionale al corpo (cioè che sono più concentrate su ciò che il corpo fa/sente) sono più soddisfatte del proprio aspetto.

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