Che cosa sono gli attacchi di panico, come si manifestano e come possiamo intervenire?
L’origine del termine “Attacchi di panico”
La parola “panico” deriva da Pan, il nome di un antico dio greco, divinità dei boschi e della natura, dall’aspetto spaventoso e inquietante perchè mezzo uomo e mezzo animale. Secondo la mitologia greca, il dio Pan si aggirava nelle foreste, inseguendo le ninfe e spaventandole. Arrivava all’improvviso e ogni volta cambiava aspetto grazie ai suoi travestimenti, per questo era molto difficile riconoscerlo e sfuggirgli. Poi, altrettanto repentinamente, se ne andava, lasciando dietro di sè un senso di ansia e di inquietudine per la paura di un suo futuro, imprevedibile e temuto ritorno.
Così come i viandanti descritti nel mito sentivano di essere completamente in balia di una potenza incontrollabile e violenta della natura, coloro che hanno avuto un attacco di panico, avvertono la sensazione di perdita di controllo su quanto accade e la mancanza di certezze e punti di riferimento nella propria vita.
Cosa sono gli attacchi di panico
Gli attacchi di panico sono, infatti, episodi caratterizzati da un aumento improvviso di paura o da un intenso disagio fisico e/o emotivo (la cui insorgenza può avvenire sia da uno stato di calma che da uno stato ansioso) che raggiungono il loro picco massimo in pochi minuti.
Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, brividi o vampate di calore, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo, di morire, di impazzire ecc
Quando gli attacchi di panico sono ricorrenti, si parla di “Disturbo di panico”.
Spesso un attacco di panico non è preannunciato da nessun sintomo in particolare, arriva improvvisamente e inaspettatamente, “a ciel sereno”. È questo il motivo per cui spaventa tanto. In realtà ha sempre un fattore scatenante, anche quando non siamo in grado di riconoscerlo come tale.
Trattandosi di un’esperienza molto intesa e spiacevole, la persona sviluppa, in genere, una forte paura che possa verificarsi un nuovo attacco.
Ansia anticipatoria
Si parla cioè di “ansia anticipatoria”, cioè un’ansia molto elevata alla sola idea di dover affrontare, in un futuro più o meno lontano, alcune situazioni temute (allontanamenti da casa, viaggi, guida, rimanere da soli, andare al cinema, al ristorante, presentare un lavoro a un congresso, ecc.). L’ansia anticipatoria può riguardare non solo le situazioni percepite come pericolose, ma anche l’eventualità stessa di avere un altro attacco di panico, fenomeno descritto come “paura della paura”.
Inoltre, spesso chi ha avuto uno o più attacchi, può iniziare ad evitare i luoghi e le circostanze che in qualche modo sono collegati agli attacchi avuti: la tendenza all’evitamento di luoghi o situazioni critiche può condurre allo sviluppo di una vera e propria agorafobia (dal greco, “paura della piazza”, viene definita come ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico o dei sintomi del panico).
Il primo attacco
Il primo attacco di panico si può verificare per diverse ragioni, ma possiamo vedere dalla storia dei pazienti che molto spesso coincide con un periodo di tensione o di stress elevati. Lo stress contribuisce ad aumentare l’ansia, fino al raggiungimento di una soglia che, se superata, innesca l’attacco di panico.
Dopo il primo attacco, diversi fattori possono entrare in gioco e mantenere ed alimentare il problema. Tra questi possiamo ricordare la sensibilità all’ansia (particolare attitudine cognitiva a sperimentare un’intensa paura delle proprie sensazioni legate all’attivazione fisiologica); l’attenzione selettiva (tendenza a monitorare le proprie sensazioni interne e porre speciale attenzione alle situazioni temute per controllare la presenza di segnali che potrebbero innescare l’attacco di panico), la distrazione, la fuga ecc
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Uno degli aspetti più rilevanti nel mantenimento del disturbo è però senz’altro l’evitamento di tutte le situazioni che si ritiene possano favorire il panico (es. metropolitana, treno, ascensore, i ristoranti, il traffico, il cinema, i luoghi chiusi senza finestre, i luoghi da cui è difficile raggiungere rapidamente un’uscita o, in situazioni più gravi, anche un medico o un ospedale, vedere film dell’orrore o drammatici ecc)
Le persone si trovano dunque a vivere all’interno di una propria “zona di comfort” che, col tempo, evitamento dopo evitamento, diventa sempre più ristretta: è preferibile rimanere entro questa zona, piuttosto che rischiare di andare incontro all’ignoto, all’incontrollabile…all’attacco di panico.
Come intervenire con la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è risultata molto efficace per il trattamento degli attacchi di panico.
Il modello cognitivo afferma che non è la situazione in sé a spaventare le persone, ma il modo in cui queste interpretano quella determinata situazione, in altre parole “Il modo in cui pensi influisce sul modo in cui senti”.
Il pensiero influenza continuamente le nostre reazioni corporee, quindi, il pensiero, ad esempio, di poter avere un attacco di panico induce uno stato di ansia che, a sua volta, porterà alla comparsa di ulteriori sintomi fisici e i pensieri negativi innescheranno il circolo vizioso, andando a determinare gli effetti sul nostro corpo.
Grazie alla psicoterapia cognitivo-comportamentale è possibile apprendere come correggere le interpretazioni errate di pericolo e minaccia ed individuare risorse personali per fronteggiare e usare efficacemente le tecniche apprese.
I pensieri catastrofizzanti
Uno dei primi obiettivi su cui si lavora con il terapeuta consiste nella ristrutturazione cognitiva degli esiti temuti delle sensazioni fisiche.
I pensieri catastrofizzanti, infatti, fanno sì che le persone con attacchi di panico interpretino erroneamente i sintomi dell’ansia e li vedano come dei reali pericoli.
Gli esperimenti comportamentali
Un’altra fase importante è quella che prevede l’esecuzione degli esperimenti comportamentali per l’induzione dei sintomi in seduta (esercizi di esposizione enterocettiva). Si inducono sensazioni corporee simili a quelle che si manifestano spontaneamente in caso di ansia e che vengono evitate perché considerate pericolose, con lo scopo ultimo di imparare a “rimanere” con esse.
Anche l’esposizione graduale in vivo per gli evitamenti agorafobici è una fase fondamentale della terapia cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico.
Durante l’esposizione graduata in vivo lo psicoterapeuta aumenta progressivamente il livello di ansia a cui la persona si esporrà, in modo che possa realizzare di essere in grado di gestire situazioni ansiogene a lungo evitate. Affrontare la situazione temuta senza fuggire, infatti, fa aumentare la paura che però una volta raggiunto il suo picco massimo, si stabilizzerà per poi ridimensionarsi.
A completamento del percorso possono anche essere utilizzate delle tecniche come il rilassamento muscolare progressivo, la respirazione controllata o la meditazione.
Durante il percorso terapeutico la persona viene, quindi, coinvolta attivamente nel processo che la condurrà fuori dal panico. E’ possibile stare meglio sperimentando direttamente la non veridicità dei propri pensieri e sviluppando strategie per ricominciare a vivere con una consapevolezza diversa di sé, degli altri, del mondo.