Alimentazione emotiva: che cos’é? è una riflessione nata dal confronto tra me a la Dottoressa Marica Falco, Biologa Nutrizionista esperta nella terapia dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione.
Si tratta di un argomento di cui si parla molto, ma su cui spesso si leggono punti di vista non proprio appropriati: con questo articolo vorremmo fare un po’ di chiarezza. Buona lettura!
Cibo ed emozioni: un legame naturale
Esiste una stretta connessione tra cibo ed emozioni che passa attraverso esperienze di apprendimento, ma anche la nostra “biologia”, e questi due livelli si intersecano continuamente.
Questa connessione inizia dalla nostra nascita, quando veniamo allattati (al seno o con il biberon) per calmare il pianto, si rafforza ogni volta che offriamo un biscotto ad un bambino per placare il dolore di un ginocchio sbucciato o prendiamo un gelato per festeggiare una vittoria. Il legame emotivo con il cibo si rafforza nel corso della nostra vita attraverso tante esperienze personali e condivise.
Ma c’è anche un altro piano: ci sono dei cibi (comfort food) che suscitano sensazioni di benessere, consolazione e sicurezza, una sorta di sollievo temporaneo. Questo effetto consolatorio è legato alla loro capacità di attivare il sistema di ricompensa nel cervello, liberando sostanze chimiche come la dopamina, che ci fanno sentire meglio nel breve periodo. Ma non soltanto, spesso i comfort food sono legati a ricordi d’infanzia o a tradizioni familiari: mangiare un determinato piatto può evocare sensazioni di calore e affetto.
Cibo, nutrimento per il corpo e per l’anima
Questo ci permette di cogliere quanto il cibo possa assumere diversi significati che talvolta sovrastano quello di “semplice” nutrimento. Il cibo è, sì, il mezzo attraverso il quale riforniamo il nostro corpo di energia per permettergli di sopravvivere: rappresenta quindi un bisogno primario, essenziale, imprescindibile, senza il quale si metterebbe a rischio la nostra stessa vita. Ma, proprio per questo, la natura l’ha interconnesso con una serie di stimoli fisici, psicologici ed emotivi, affinché fossimo spinti a ricercarlo continuamente.
La nostra scelta di mangiare non è guidata solo da fame e sazietà, ma anche da desiderio e piacere, che molto spesso vengono messi da parte. Tuttavia, quando ciò accade, si rischia di non riuscire più riconoscere e soddisfare tali bisogni, arrivando a mangiare frequentemente anche quando non si ha fame, non rispettando la propria sazietà, ricercando il piacere estremo. In realtà, ognuno di questi bisogni presenta diverse sfumature, che possiamo accontentare in diversi modi.
Per un approfondimento sulle differenze tra “fame fisiologica” e “fame emotiva” potresti leggere: “Fame emotiva o fame fisica?“
Come affrontare l’alimentazione emotiva
Vorremmo portare l’attenzione su due aspetti importanti da prendere in considerazione quando ci sono episodi di “alimentazione emotiva”.
Imparare a riconoscere le emozioni e dare loro il permesso di esserci
Il primo passo per affrontare l’alimentazione emotiva è diventare consapevoli delle proprie emozioni e riconoscerle. Il passo successivo è quello di permettere alle emozioni di essere lì! Non dobbiamo certo essere entusiasti o felici di provarle, ma permettere loro di esserci! Stai con le tue emozioni, fanne esperienza!
Può sembrare strano o difficile, ma esistono delle modalità attraverso le quali è possibile mettere in pratica questa indicazione, per esempio utilizzando pratiche di Mindfulness.
Riconoscere i bisogni sottostanti
L’emozione che stiamo provando potrebbe segnalarci un bisogno, di qualsiasi tipo esso sia. Non anestetizzando l’emozione e rimanendo nella “scomodità” del qui ed ora, potremmo accorgerci che abbiamo bisogno di riposare, di fare sentire la nostra voce, di prenderci del tempo per noi, di svagarci o di porre dei limiti, o di qualsiasi altra cosa sia rilevante per noi in quel momento...
A questo punto diventa per noi possibile prenderci cura dell’emozione e del bisogno mettendo in pratica dei comportamenti diversi e di sicuro più efficaci a lungo termine nell’assicurarci benessere e conforto.
Ma è veramente “emotional eating”
Non si può parlare di “mangiare emotivo” senza prendere in considerazione le riflessioni che seguono. Spesso chiamiamo “fame emotiva” quello che in realtà non è altro che il bisogno di energia e nutrienti del nostro corpo.
La “cultura della dieta” in cui viviamo oggi ci porta a pensare di dover mangiare poco, ridurre al minimo gli alimenti fonte di importanti nutrienti (es: i carboidrati e i grassi), mettere da parte il gusto dei nostri pasti per comporre dei piatti “sani”, con lo scopo di rientrare in un “peso ideale” che non tiene conto della nostra unicità.
Tutto questo rema contro il benessere del nostro corpo, che cercherà di farci colmare il deficit di energia, nutrienti, soddisfazione a cui l’abbiamo sottoposto con:
- aumento della sensazione di fame,
- pensieri frequenti sul cibo,
- voglie di alimenti molto gustosi e che donano zuccheri velocemente assimilabili.
Non si tratta quindi di “mancanza di forza di volontà”, “scarso autocontrollo”, “incapacità”, ma di naturali meccanismi di difesa del nostro corpo.
I comfort food, una visione fuori dal coro
Per natura siamo portati ad alleviare le sensazioni spiacevoli, ad allontanarci dal dolore, dallo stress, dal flusso ingombrante di pensieri e a ricercare il piacere, anche attraverso il cibo. Allo stesso modo il cibo può essere un bellissimo modo per festeggiare (compleanni), permettere degli incontri (la pizza con le amiche), rievocare ricordi (le lasagne della nonna). E non c’è niente di sbagliato in questo.
La visione odierna del cibo con puro mezzo per modificare il peso e corpo ci ha fatto perdere di vista non solo il suo significato energetico e nutritivo, ma anche quello di piacere, legame, tradizione, convivialità…
Se la mente non è sovraccaricata dai pensieri della cultura della dieta, se siamo in grado di riconoscere e ascoltare i nostri bisogni, se riconosciamo l’importanza del nostro benessere psicofisico, lasciando anche spazio alle emozioni, scegliere un alimento solo perché ci piace, per commemorare un successo, rendere meno pesante una giornata non è uno sbaglio. Anzi, è solo una risorsa in più per aiutarci nel “duro lavoro” di convivenza con il nostro quotidiano.
Ciò che ci porta a percepirlo come una colpa molto probabilmente è questa moralizzazione del cibo, che ci porta a controllare le nostre scelte alimentari, andando contro alla naturale complessità del nostro comportamento alimentare.